#mariannenonsitocca
Questa sera si parla di moda, di amore, di bellezza, ma anche di un sogno che è diventato reale. Il sogno di un luogo dove le donne abusate potessero essere accolte e ascoltate, e dove le loro vite potessero essere ricucite, riparando gli strappi delle violenze e del dolore.
Tor Bella Monaca caput mundi a 100 mila chilometri da Bruxelles e 1000 miglia a sud di Roma. Tuttavia, nonostante il più alto numero di detenuti alla firma della Capitale, nonostante la percentuale altissima di disabilità, ci sono persone e realtà operose quanto quelle dei cosiddetti quartieri bene.
Non è l’Eden, ma un quartiere nato con un piano regolatore curato nei particolari: scuole, parchi, teatro.
E dove sono stati concentrati gli indesiderabili.
Non conosco l’autore di questo piano di occultamento sociale, però mi sembra di ritrovare la stessa dinamica in altri quartieri, come il Pigneto o San Lorenzo, dove lo spaccio, l’alcolismo e la microcriminalità sono ben visibili, e tollerati. Meglio lì che nel salotto buono di Roma, e pazienza se poi a farne le spese sono le persone oneste che ci abitano.Non crediate che a Tor Bella Monaca, la violenza di genere sia la normalità: nel centro antiviolenza “Marie Anne Erize” che rappresento, molte donne vengono da altri quartieri, e si recano da noi perché sono spaventate dal fatto che possano essere riconosciute e giudicate. Qui, a Tor Bella Monaca, il numero delle richieste di aiuto é lo stesso che nelle altre parti di Roma; è la paura ad essere maggiore, perché denunciare significa uscire definitivamente di casa, a volte fuggire, portando con sé solo lo stretto necessario e i propri figli, con il terrore di essere scoperte e con l’incertezza del futuro. Nel centro antiviolenza “Marie Anne Erize” le pareti sono colorate, c’è musica e ci sono stoffe e macchine per cucire che ricuciono vite. E’ necessario andare oltre il classico centro antiviolenza, creare cultura e formazione, perché solo attraverso di esse ci si può salvare. E il Marie Anne Erize dimostra che questo è possibile, attraverso la biblioteca, riconosciuta dallo Stato, attraverso la sartoria solidale, creata grazie alla generosità e alla fiducia della Fondazione UP, attraverso i piccoli e grandi traguardi raggiunti negli anni.
Ecco, è proprio per questo che il centro antiviolenza tradizionale va superato e integrato, attraverso l’accesso alla cultura e alla formazione lavorativa. E’ su questo che ci siamo impegnati finora, perché la paura si sconfigge con la consapevolezza del proprio valore, concedendosi la libertà di chiudersi definitivamente alle spalle quella porta che sembrava insuperabile. E’ importante allo stesso modo formare le giovani generazioni al rifiuto di questa forma di violenza, attraverso l’educazione scolastica. A questo scopo, abbiamo lanciato lo scorso gennaio la campagna “Io ci metto la faccia”, inaugurata al liceo scientifico “Edoardo Amaldi” di Tor Bella Monaca. Alla presentazione del progetto, ha voluto fortemente partecipare un maltrattante, ossia un uomo che per anni ha agito violenza contro le sue compagne. Marco, si chiama così, attraverso un lungo percorso, certo molto doloroso, è riuscito a cambiare. E ci mette la faccia, raccontando la sua vicenda senza risparmiarsi, e in qualsiasi luogo ove ci sia chi è disposto ad ascoltarlo. Allora, noi diciamo di si agli uomini che vogliono affiancarci e aiutarci, perché non si devono erigere mura, bensì trovare aperture e collaborazioni. Mi duole però constatare che in alcuni casi, la lotta alla violenza di genere è diventata solo un grande business, attraverso il quale accedere ai fondi europei e statali, senza portare avanti nulla di concreto o di innovativo. Mi chiedo come mai allora, sia possibile per noi, a Tor Bella Monaca, creare cultura e formazione senza avere mai avuto un euro di fondi pubblici. In pratica, offrendo lo stesso servizio a costo zero. Certa politica, o meglio pseudopolitica, ha provato fastidio di questo, e sta tentando fortemente di distruggere il nostro progetto sociale con gli atti e le insinuazioni. Che si accomodino, abbiamo risposto. Questa approssimazione demagogica ha i giorni contati, abbiamo bisogno di persone preparate e capaci, che siano in grado di agire e anche di ascoltare.
Le richieste delle nostre utenti sono, in genere, sempre le stesse; ci chiedono protezione, sicurezza, lavoro, ascolto, accoglienza. La legge ha fatto molto per proteggere queste donne e punire i reati inquadrati nella violenza di genere, tuttavia non è ancora abbastanza.
Stasera siamo qui a dimostrare e mostrare come è vero che la bellezza può cambiare il mondo. Vi offriamo questo spettacolo, dove donne e uomini sfileranno contro la violenza, qualsiasi violenza. E dove, chi sta dietro le quinte, occupandosi di orli e misure, senza volersi mostrare, sarà invece padrone della scena, dimostrando attraverso il lavoro, che si può uscirne, sempre.
Lettura di Giuseppe Laudisa
Da ArtCounselor in Formazione (da un paio di mesi mi trovo a fare tirocinio formativo, presso il Centro Antiviolenza di Stefania Catallo), posso dire che ieri per me il tempo si è fermato ascoltando la lettura introduttiva di Giuseppe Laudisa. La sua voce molto attenta, alta e pacata a seconda dell’ enfasi che prendevano le parole, mi toccava dentro. E così sono restata ferma, lì, immobile, ad ascoltare, mentre un’ emozione forte mi stringeva il cuore. Parole, semplici parole, ma sempre parole che toccavano il cuore. Ti scivolavano addosso, come un vestito fatto apposta per te. Un vestito, lavorato, cucito, ricucito, come se servisse a ricucire i pezzi della tua vita. Una vita che all’ apparenza era stata fatta a brandelli. E che poi con mani sicure e più forti, hai deciso di rimettere insieme.
La sfilata degli abiti da sposa, fatta da utenti e d ex utenti è stata molto significativa per me. Non era solo una passerella. Non era solo un’ andatura. Era un modo di essere. Quando potevo, incontravo i loro sguardi, emozionati ed intimiditi. Sorridenti e vittoriosi. Uomini e donne insieme. Uomini e donne insieme per metterci la faccia. E’ questa la vera cura!
L’ emozione grande di ieri sera fa emergere in me che:
La violenza di genere… La violenza non ha sesso. La violenza è. La violenza nasce, da paura, dolore, rabbia inespressa e repressa. Forse un abito da sposa creato, ricreato e ripreso, rappresenta la forza di quella persona che con cura e creatività vuole riprendersi la vita. Uomini e donne insieme. Tutti possiamo sfilare. Tutti abbiamo un filo per tessere, una storia da raccontare. Incompresi, normodotati, invalidi… ricchi, poveri… Siamo Esseri Umani. E’ tutto quello che conta.
Un pensiero su “Le spose di Marianne”